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Appuntamenti con Musica Poesia e Cinema a Milano

Prossimi appuntamenti musicali, letterari e cinematografici in compagnia di Mariangela Ungaro, Andrea Musumeci, Monika Lukacs, Laura Cassani.
Vi aspettiamo con due appuntamenti imperdibili per chi ama la cultura e l’arte a 360 gradi.
Buona serata!

https://mariangela-ungaro.blogspot.it/2018/05/appuntamenti-con-la-musica-la-poesia-e.html?m=1

 

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BUON NATALE TRA MUSICA E CINEMA

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Credo sia giusto che CINEMA D’ASCOLTO rifletta minimamente sulle colonne sonore dei film associati a certe stagioni o festività dell’anno. I film di Natale sono sicuramente i cinepanettoni vari – con buona pace di Confucio che per l’ennesima volta ci ha preso dopo seimila anni- ma si aggiungono degli oramai “evergreen “del grande schermo come “Una poltrona per due” -anche citata nell’ultimo girato di casa Surace, per il capitolo “i tradizionalisti” . Ditemi se sbaglio, ma è la sinfonia italiana di Mozart a fare da fil rouge?

Indimenticabile “E.T. ” di Spielberg con le musiche -ovviamente- di Williams.

Il tema musicale con i ribattuti di legni rendono così perfetta la scena del volo delle biciclette e tutti quegli ottoni e percussioni sui temi epici…e il flauto sovrano simbolo dell’infanzia e forse della buona fede, della speranza, dei sogni. E.T. l’extra-terrestre è un film di fantascienza del 1982 diretto da Steven Spielberg.

Distribuito dalla Universal Pictures, E.T. divenne un successo al botteghino, sorpassando, all’epoca, Guerre stellari come film che ha incassato di più nella storia del cinema.

Il film è uscito l’11 giugno 1982 negli Stati Uniti d’America. Fu ri-distribuito nel 1985, e nel 2002, con l’aggiunta di nuove scene ed effetti speciali migliorati. La pellicola affronta temi cari al regista, come quello della crescita, del rispetto e della tolleranza. Spielberg crede che E.T. rappresenti tutto il suo lavoro.

Per il regista, E.T. aprì la strada a un nuovo genere di film: pellicole più personali, incentrate sulle emozioni e sulle condizioni umane dei protagonisti, come Il colore viola, Schindler’s List e Amistad.

Nel 1994 è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Pochi sanno che il film era assolutamente autobiografico: dopo il divorzio dei suoi genitori nel 1960 Spielberg colmò il vuoto causato dall’avvenimento con un alieno immaginario che gli facesse compagnia.

Alcune curiosità: I dottori che lavoravano presso il centro medico dell’Università del sud California vennero reclutati da Spielberg per interpretare i dottori che cercavano di salvare la vita di E.T., in quanto il regista desiderava il massimo senso di realtà e naturalezza possibili.

Non a caso, il regista, per la prima volta nella sua carriera, non ha utilizzato uno storyboard per la maggior parte del film, così da permettere una maggiore spontaneità nelle performance. I tre protagonisti bambini vennero inoltre incoraggiati a improvvisare, inventando dialoghi o singole frasi. La battuta di Gertie, “Non mi piacciono i suoi piedi”, quando vede E.T. per la prima volta fu improvvisata da Drew Barrymore, così come l’intera scena tra l’alieno ed Elliott, dove quest’ultimo mostra i suoi giocattoli. Per la scena di Halloween, i ragazzi si presentarono sul set già vestiti con i costumi. Spielberg ricambiò lo scherzo, dirigendo per l’intera giornata vestito da maestra.

Il supervisore agli effetti speciali Dennis Muren vinse l’Oscar per i migliori effetti speciali.

La musica è di J. Williams, ormai collaboratore abituale di Spielberg; pur potendo lavorare solo e sempre su girati provvisori, senza sonoro né effetti speciali, e dovendo creare una composizione che rendesse simpatico un essere all’apparenza brutto come E.T., sue testuali parole, la colonna sonora è eccellente: Williams vinse l’oscar per il suo lavoro (il quarto della sua carriera) e la musica di E.T. può considerarsi entrata nell’immaginario collettivo. La canto quando vado in bicicletta😂.

Consiglio l’ascolto della scena del volo delle biciclette, che per me è la scena madre del film: il tema agli archi si avvale di corni e legni di sostegno al volo, che suonano con ribattuti leggeri ravvicinati e veloci; vi sono punti di luce con percussioni perchè è un mondo di bambini; i temi sono palleggiati tra legni e ottoni; notevole il contrappunto presente in tutto il brano e anche nelle altre scene.

Da notare come, verso la fine, in concomitanza con la partenza di E.T., il tema fantasy, concitato e fanciullesco, diventi glorioso, epico, pieno di ottoni e percussioni su pedale in tremolo degli archi fissi in adorazione o per lo stupore, tra le luci abbaglianti, la vista degli alieni sotto gli sguardi attoniti: le imitazioni del tema inspessiscono il tessuto tra wind chimes e arpe che creano un crescendo fino all’alternanza tipica V-I delle caldaie dei timpani come si addice ai migliori finali epici orchestrali.

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Un altro film eccezionale è ” la storia infinita” con i suoi temi ricorrenti alla maniera wagneriana. Credo si aggiungerà presto ai palinsesti, la trilogia de “Il signore degli anelli” anche qui il compositore , Howard Shore, enuncia tutta l’enciclopedia dell’orchestrazione e del coro post wagneriana.

Molti i film associati al Natale, tutti dediti ai buoni sentimenti, dal drammatico alla commedia, spesso si svolgono proprio in un contesto natalizio.

Dovessero dare “The family man” non perdetevi proprio all’inizio un esilarante Live di Nicholas Cage, che canta “La donna è mobile” dal Rigoletto verdiano.

(….)

Vi dicevo, nelle pellicole designate come natalizie, i colori, i suoni, i personaggi, sono gli stessi. Nel momento in cui l’uomo ha dato dei simboli a date azioni o sentimenti che prova, sono nati i simboli e quindi i suoni.

Nelle pellicole natalizie non possono quindi mancare le piccole, luminose percussioni, l’oboe, per tradizione, la zampogna, una fisarmonica e magari un violino infreddolito.

Suoni che ci immergono immediatamente e ugualmente nella stessa dimensione temporale. Come se la musica, in un solo modo riconosciuto da tutti allo stesso modo, ci negasse le categorie di spazio e tempo e fosse il vero spirito del Natale che ci fa svolazzare tra le nuvole.

(…)

Sempre a Natale ci vengono proposti i – sempre i stess’- classici film sulla natività. In quelle pellicole il coro è un po’ più preponderante , le voci sono associate a quelle degli angeli, che cantano la gloria del Signore.

(…)


IL CINEMA AUSTRALIANO E LA SUA MUSICA da “Cinema D’Ascolto” di M.Ungaro

http://www.pensieroplurale.it/cinema-australiano-la-sua-musica/

Pensiero Plurale è l’ideale spazio informativo in cui diverse discipline e contenuti possono liberamente coesistere. Dalla politica allo sport, dalla filosofia all’arte, dalla narrativa al cinema, non ci facciamo mancare nulla.

Proponiamo, stavolta, un’indagine retrospettiva, uno studio articolato e appassionato, che getta un fascio di luce psichedelica sul cinema australiano in rapporto alle colonne sonore.
L’articolo è di Mariangela Ungaro, una delle nostre autrici di punta (che a settembre pubblicherà “Cinema d’ascolto”, ovviamente con il marchio editoriale Pluriversum Edizioni).

#cinemaaustraliano #cinemadascolto #mariangelaungaro #musicapercinema #australia


TEATRO PER TUTTI!

Mi chiamo Andrea Salierno e sono un attore di Milano.
Ho cominciato a muovere i primi passi sul palco all’età di 5 anni e da lì non ho mai smesso di calcarlo.
Fin da bambino ho sempre sognato di fare questo mestiere stupendo. Crescendo e inseguendo sempre i miei sogni ho cercato di trasformare un sogno in realtà, mantenendo sempre il focus sui i miei obbiettivi senza mai distogliere l’attenzione.
Il mestiere dell’attore è difficile, ma la voglia di mettersi in gioco è sempre stata più forte di qualsiasi avversità, si può chiamare in mille modi, vocazione, essere portati, la propria strada.
In qualunque modo lo si chiami, come diceva Walt Disney: “ quello che più conta è che se lo puoi sognare, lo puoi realizzare “.

Workshop teatrale: 

 Due giorni di lavoro sul corpo e voce.

 
 

 

Condotto dall’attore Andrea Salierno.
Da sempre il Teatro è luogo d’incontro dove le persone possono tirar fuori ed esprimere le proprie sensazioni ed emozioni, condividendo insieme e vivere il “Qui ed ora”.
Il Teatro non solo forma attori, ma permette a chiunque di potersi esprimere in maniera totalmente unica ed irripetibile, attraverso esercizi, giochi teatrali, attraverso la danza ( teatro danza ), musica ( musicaterapia).
In un gruppo è fondamentale la fiducia è il rispetto della persona/e con chi ci si relaziona.

Primo giorno:

Cerchio.
Incontro con le persone e presentazione di ognuno per conoscersi.
Esercizi:
– Scrittura.
– Treaning/ riscaldamento del corpo e della voce.
– Scoperta dello spazio.
– Scomposizione corporea.
– Biomeccanica.
– Esercizi di articolazione vocale, Dizione, giochi di parole.
– Uso del Grammelot.
– Teatro danza.
– Esercizi a coppie sull’ascolto.

Secondo giorno:

Esercizi:
– Esercizio dello sguardo (uso occhi) con il compagno/a
– Lavoro sull’emozioni.
– Lavoro sull’improvvisazione scenica e ascolto con conduzione a braccio della scena.
– Esercizi sul respiro, uso corretto della respirazione ( diaframma ).
– Esercizi di sciogli lingua e articolazione vocale.
– Esercizi sull’ascolto e uso del corpo.
– Esercizio sugli animali.
– Esercizio sulla camminata ( diagonale ).
– Scrittura.

Al termine delle due lezioni, cerchio conclusivo.


IL POSTO DELLE FRAGOLE e la sua colonna sonora

 Dal libro “CINEMA D’ASCOLTO” di Mariangela Ungaro

 

Il posto delle fragole è un film del 1957 di Bergman, con le musiche di Erik Nordgren

https://www.youtube.com/watch?v=J_dDkRIAt60

Le musiche sono in realtà delle emblematiche pennellate timbriche (violoncello e arpa con significati antitetici) il resto è musica IN (suonata al pianoforte, alla chitarra, o cantata) oppure sonorizzazione, ovvero suoni e/o rumori emblematici (rintocco di campane, di orologio, suoni di natura e canti di uccelli).

Vi è una logica intrinseca nell’uso di musica IN, di commento , signal sonori e rumori di scena: si potrebbe parlare quasi di permutazione delle varie componenti sia nelle scene realistiche sia in quelle oniriche, a creare un disegno ben delineato, connesso e connotato proprio anche grazie ai suoni ricorrenti.

Il film si apre con un sogno, e la fase onirica accompagnerà il protagonista (il professor Isaac) per tutto il film; tutti i sogni si aprono con l’arpa, un timbro tipico per connotare un’ idea atavica di mondo onirico, impalpabile, di apertura di sipario, con i suoi glissandi ascendenti. Tutti i sogni tranne l’ultimo, alla fine del film, quando l’arpa è la protagonista di tutto il sogno, non solo dell’apertura, ed accompagna con arpeggi sempre più diluiti, in senso agonico, il protagonista e la giovane Sarah a trovare i genitori di Isaac sulle sponde del laghetto, fino all’ultimo arpeggio, riposante, sereno, che ha trovato finalmente la pace e ha saputo imparare a perdonarsi.

Fin dal primo sogno, sentiamo già molti elementi sonori che caratterizzeranno tutto il film: il battito del cuore e il rintocco dei timpani, sempre più forte, alla vista dell’orologio senza lancette (orologio reale che Isaac ritroverà a casa di sua madre); le campane (alla vista dell’uomo dissolto senza testa) e i loro sonori rintocchi; il suono fisso che si intensifica in una crescente tensione sonora e situazionale (alla vista della bara aperta con se stesso che è vivo e attira a sé con la sua mano esangue, Isaac vivo).

Il primo timido tema orchestrale di musica di commento vero e proprio (salvo un breve inciso tematico drammatico durante i brevissimi titoli di testa, dopo il prologo) lo ascoltiamo quando Isaac giunge – nella realtà e subito dopo nei suoi ricordi – nel “posto delle fragole”, un delizioso e assolato giardino che circondava la sua dimora familiare estiva.

Risentiamo anche il rintocco della campana, un signal sonoro che chiama a raccolta la famiglia del giovane Isaac, perso tra i suoi ricordi: la famiglia è riunita per la colazione intorno al tavolo e ringrazia il Signore.

Subito dopo ascoltiamo della musica IN: le gemelle infatti stanno cantando una canzoncina per lo zio che fa l’onomastico, mentre una delle sorelle le accompagna al pianoforte. La musica IN ci riporta alla realtà: uno dei ragazzi a cui Isaac e sua nuora stanno dando un passaggio, suona una chitarra, dopo pranzo.

La musica IN alla chitarra chiuderà anche il capitolo successivo: dopo una dissertazione sull’immanentismo, accompagnata da musica di commento drammatica di quartetto d’archi, udiamo ancora i rintocchi dei timpani (che si fondono con il rumore dei tuoni) quando Isaac vede davvero, a casa della madre, l’orologio senza lancette (che apparteneva a Sigfried, l’uomo che ha sposato la sua amata Sarah) e mentre lui ricorda, tornando in fase onirica, la sua Sarah, riparte anche il quartetto d’archi drammatico. La chitarra IN riporta tutto alla realtà: il ragazzo sta suonando ora nella macchina mentre fuori imperversa il temporale.

Il sogno successivo invece vede protagonisti molti signal sonori, timbri e rumori di scena: il tremolo d’archi innanzitutto, il pianto del bimbo, stridenti canti di uccelli nel bosco. Sempre in questo sogno, ascoltiamo anche della musica IN: Sarah sta suonando al pianoforte una delle fughe bachiane (tratte dal Clavicembalo ben temperato): il suo amato Sigfried le bacia il collo, lei smette di suonare e la musica passa senza perdere una nota, dal pianoforte al violoncello solo, che però è musica di commento, mentre la coppia si siede a tavola.

Partono i rintocchi dei timpani mentre Isaac tocca un chiodo fissato allo stipite della porta a vetri con la mano e bussa al vetro insistentemente.

Il suono fisso questa volta serve al risveglio.

Tornati alla realtà ascoltiamo il violoncello solo, di commento, tanto breve quanto drammatico, dopo che i ragazzi regalano al vecchio dei fiori, come omaggio per il suo giubileo: egli ringrazia, ma dice che è tardi e devono ripartire al più presto.

Il violoncello solo sarà anche il commento dopo la premiazione, come se Isaac sapesse bene che il premio che ha ricevuto non è meritato. Il violoncello è sempre associato all’idea di morte o comunque sonorizza il dolore intenso.

La parata del giubileo è sonorizzata con musica IN: trombe e campane.

Ed è IN anche la canzone cantata dai tre ragazzi sotto la finestra del professore, per dirgli addio.


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PROGETTO PER LA CULTURA CINEMATOGRAFICA E MUSICALE.

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SOSTENIAMO LA CULTURA CINEMATOGRAFICA E MUSICALE!
RICOMPENSE A CIASCUN SOSTENITORE.
VIDEO http://www.youtube.com/watch?v=MLvHVqsTbLU
La compositrice e scrittrice Mariangela Ungaro
ha ideato e prodotto un lavoro originale dal titolo CINEMA D’ASCOLTO, un viaggio intorno al mondo attraverso le sonorità del cinema mondiale.
Una ricerca davvero affascinante. Un cammino che può proseguire solo grazie al vostro sostegno.
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE SOSTERRANNO LA CULTURA.
BUONA MUSICA E BUON CINEMA A TUTTI!

La compositrice e scrittrice Mariangela Ungaro
ha ideato e prodotto una rubrica radiofonica originale dal titolo
CINEMA D’ASCOLTO
Un viaggio intorno al mondo attraverso le sonorità del cinema mondiale.
Le puntate trattano in modo piacevole ma dettagliato la storia del cinema di ogni parte del mondo con particolare riferimento alla musica creata apposta o utilizzata per sonorizzare i film seguendo le tematiche principali della storia di diverse nazioni in ordine cronologico.
Un ascolto piacevole per non addetti ai lavori, una raccolta interessante per musicisti e cineasti.
Regia audio di Emanuele Contreras.
I CONTENUTI:
x Musica di pubblico dominio per il cinema
x Musica originale per un film: tecniche compositive e riflessioni sulla musica e i generi cinematografici
x Il cinema italiano (4 parti)
x C’era una volta il West
x Il cinema francese
x Il cinema tedesco
x Il cinema inglese
x Il cinema americano (4 parti)
X Il cinema spagnolo
x Il cinema giapponese
x Il cinema cinese
x Il cinema dei paesi scandinavi
x Il cinema russo
x Bollywood
Il lavoro si pone some indagine accurata sui linguaggi cinematografico e musicale che sono intrecciati indissolubilmente con la storia e cultura del popolo a cui entrambi danno voce.
In un momento di grave crisi culturale, conoscere il linguaggio audiovisivo che fa parte integrante della vita di ciascuno in modo sempre più olistico e pregnante, e che lega il mondo intero nella sua rinnovata versione globale e tecnologica, è fondamentale per leggere in modo critico e consapevole i messaggi che la società ci fornisce e che, senza le giuste coordinate, rischieremmo di assimilare acriticamente.
Il cinema ha avuto un ruolo sostanziale nella storia dell’umanità, divulgando alle masse messaggi, cultura, stili di vita, provocazioni, critiche alla stessa società e inventando nuovi modi per comunicare. La musica, il linguaggio universale per eccellenza, si è strettamente legata al cinema, asservendolo da un lato, ma mantenendo le sue caratteristiche linguistiche ed epistemologiche, andando aldilà della stessa immagine che andava a connotare. La musica si è rinnovata nella sostanza, e ha ricreato se stessa seguendo modalità molto precise a seconda dei generi cinematografici che andava a musicare e addirittura creando un sound specifico che nella storia della musica non aveva precedenti.
La musica inoltre ha sommato le sue ragioni a quelle del cinema, riempiendo di significato le immagini, talvolta descrivendole alla lettera con timbri, ritmi, intensità ma anche innalzandosi al di sopra delle parti.
Una ricerca davvero affascinante.
Con i finanziamenti, Mariangela Ungaro intende proporre il lavoro come conferenze con audiovisivi a teatri e circoli culturali.
E’ stato anche edito un saggio critico con la prima parte del lavoro. Si prevede dunque la pubblicazione del secondo saggio critico, dopo il successo ottenuto dalla prima pubblicazione autoprodotta.
Il lavoro può anche essere proposto nelle sale da concerto, con l’esecuzione dal vivo delle musiche, concerti peraltro già realizzati in prestigiose sale italiane come ad esempio la sala Verdi del Conservatorio di Milano che vide nel 2007 e 2010 due concerti per coro, solisti e orchestra con musiche per film orchestrate in originale da Mariangela Ungaro e al teatro Cagnoni di Vigevano nella serata intitolata “Note di stelle” in occasione di un prestigioso festival cinematografico.


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Dalla malavita alla legalità, alla condivisione culturale: concerti, conferenze, eventi culturali a Milano.

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DALLA MALAVITA ALLA LEGALITA’ : CULTURA E CONDIVISIONE A MILANO.

 

Dall’8 al 10 novembre 2013 si terrà il 2° Festival dei beni confiscati alle mafie organizzato dal Comune di Milano – Politiche Sociali e Cultura della Salute in collaborazione con ANBSC e Libera associazioni, nomi, numeri contro le mafie.

Direzione artistica: Barbara Sorrentini.

In quei giorni, come lo scorso anno, alcuni dei beni confiscati presenti in città apriranno le loro porte per ospitare pformance teatrali, presentazione di libri, proiezione di film e attività per bambini al fine di diffondere tra i cittadini la cultura della legalità.

La seconda edizione riserverà una particolare attenzione ai giovani, con il coinvolgimento delle scuole nelle visite guidate all’interno degli immobili, ma soprattutto con l’apertura del Festival che si terrà presso la cascina confiscata di Chiaravalle alla presenza di alcune classi superiori milanesi.

All’inaugurazione saranno presenti il Sindaco Giuliano Pisapia, la Sottosegretario ai Beni Culturali

Ilaria Borletti Buitoni, l’Assessore alle Politiche Sociali e Cultura della Salute Pierfrancesco Majorino, il presidente onorario di Libera prof. Nando Dalla Chiesa, il Presidente della Commissione Antimafia del Comune di Milano David Gentili e la direttrice artistica Barbara Sorrentini.

Negozi, appartamenti, villette. Numerosi gli immobili coinvolti quest’anno, oltre una trentina dislocati in diverse zone della città.

Un’ulteriore novità sarà la collaborazione con altre amministrazioni che stanno intervenendo per

valorizzare appieno il ruolo sociale dei beni confiscati. Tra queste in particolare la città di Marsala.

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Domenica 10 Novembre, alle ore 17.30 in via Jean Jaures 7/9, si esibisce il duo Stardust Music Group (Mariangela Ungaro & Emanuele Contreras) in un recital dedicato alla musica per cinema.

Le grandi canzoni che sono entrate nell’immaginario collettivo da C’era una volta il west a Titanic, da Moon river alle produzioni più leggere legate al rock dei Blues Brothers.

Lo spettacolo dal vivo sarà corredato di maxischermo sul quale saranno proiettate le immagini dei film.

  

 

L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti disponibili.

 

Vi aspettiamo con la grande musica per film.

 

Stardust Music Group

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mariangela ungaro

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Video

FILM DI S. RINALDI , COLONNA SONORA ORIGINALE DI STARDUST ARTISTIC STUDIOS

Film di Sergio Rinaldi
Musica originale: Mariangela Ungaro
Sonorizzazione: Emanuele Contreras
STARDUST ARTISTIC STUDIOS. professionisti dello Spettacolo, dell’Arte e della Cultura
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FILM DEDICATO ALL’AMORE. Tra le colonne sonore più difficili che io abbia mai fatto, temi originali che devono durare pochi secondi e dare l’idea della sensazione provata, la coerenza della composizione che non può mancare, anche se ci sono pochi istanti, i temi giusti sincronizzati in frazioni di tempo cellulari… Con citazione nei titoli di coda alla barcarola veneziana di Mendelssohn, dal momento che siamo a Venezia…Buona visione e buon ascolto. Mariangela Ungaro


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INTERVISTA ALLA COMPOSITRICE MARIANGELA UNGARO

INTERVISTA ALLA COMPOSITRICE MARIANGELA UNGARO

INTERVISTA ALLA COMPOSITRICE MARIANGELA UNGARO


musica di repertorio nel film

LA MUSICA DI REPERTORIO NEL CINEMA

…..

In quanto ad usare musica di repertorio, il nostro Tarantino è in ottima compagnia: registi come Kubrick, Argento, Monicelli, Houston, Hitchcock, Coppola, Pasolini e Soderbergh (quello di “Ocean’s eleven) hanno usato musica “già fatta”, a volte in versione originale, a volte cambiando i connotati del pezzo musicale, per le ragioni più disparate.

Kubrick, grande maestro: la musica qui è il film stesso…L’uso che Kubrick fa della musica di Beethoven e di Rossini durante gli stupri dei drughi in “Arancia meccanica”, è a dir poco inquietante, accentua la chiave visionaria e onirica del film..
La musica di Beethoven è addirittura usata come deterrente: il drugo più cattivo, il giovane Alex, è costretto a vedere scene di violenza ripetutamente, con gli occhi aperti da macchine per la tortura, proprio ascoltando la musica del suo autore preferito..Ma è troppo coriaceo per arrendersi..E se in un primo momento la musica di Ludovico Van sembra funzionare, si tratta solo del famoso detto: “bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è”.

Odissea nello spazio, prima scena: piano sequenza dell’astronave, della terra e del sole, ripresi in successione. Kubrick sincronizza le tre immagini diacroniche senza soluzione di continuità con le tre note in successione, di straordinaria potenza, prese dall’inizio del brano di R. Strauss “Così parlò Zarathustra”: una scelta geniale!
L’astronave gira intono alla luna, danzando dolcemente, calamitata dalla forza gravitazionale del nostro saltellite: quale musica migliore di un bel walzer? Ed eccoci serviti: “Il bel Danubio blu”di J. Strauss, che simboleggia anche la chiusura a cerchio che si arrota su se stesso, della società alto-borghese di cui il walzer è una sorta di “colonna sonora sociale”. In sostanza la musica qui non è solo un buon modo per descrivere la scena del film, ma ha contiene in sé una riflessione, nonché una critica, di tipo sociale.
Sempre nello stesso film, Kubrick utilizza anche la musica di un autore di musica contemporanea colta, Georgy Ligeti, compositore ungherese scomparso di recente.
La musica di Ligeti qui utilizzata, il “Lux Aeterna”, è composta su una serie di punti sonori, che fluttuano nello spazio senza però creare il “tema” , la melodia che tutti facilmente possiamo riconoscere…Ascoltare Ligeti, le sue fasce sonore che si muovono con micro-movimenti, come le rette parallele nello spazio, dà la sensazione di perdere la “terra sotto i piedi”…Esattamente quello che desidera connotare Kubrick, quando inserisce questa musica nella scena finale del film, in cui l’astronave ha perduto la rotta e fluttua senza meta nello spazio.
Sempre la musica di Ligeti è protagonista indiscussa dell’ultimo film di Kubrick “Eyes wide shut”: ne troviamo diversi brani, tra cui il famoso “Cerimoniale” per basso, che accompagna le scene della loggia massonica; colpisce di più però la mia attenzione un brano di due note (mi-fa) per pianoforte, inquietante, giocato sui due registri estremi del pianoforte (acutissimo e gravissimo); le due note si alternano senza andare da nessuna parte, sono già ai limiti della tastiera…Il brano accompagna, non a caso, le scene di smarrimento del protagonista : il vuoto pneumatico del pezzo descrive, aldilà di ogni dubbio, la sospensione del pensiero, la paura raggelante, l’impossibilità di muoversi…

Alleggeriamo un po’ il tono e passiamo ora al Maestro italiano del melodramma: Guseppe Verdi.
Chi non conosce “Bella figlia dell’amore” in versione “supercazzola” cantata a cappella in macchina dai quattro “amici miei” di Monicelli che vanno in giro a fare le “zingarate”…?

Pochi sanno però che anche Pasolini non ha disdegnato la musica verdiana per il suo “La Ricotta”, un affresco d’arte povera dove il protagonista, un poveraccio che lavora sul set di un film sulla passione di Cristo, corre di qua e di là sulle note della Traviata (per essere precisi si tratta dell’aria “Sempre libera”)Il pezzo però è completamente stravolto in versione “Ridolini” , proprio per accentuare le caratteristiche comiche del personaggio, e sicuramente per criticare la fede bigotta, se si contestualizza il film in una visione più ampia.

Sempre tratto da “Traviata”, è un cult inserire l’aria “libiamo” nel cinema: almeno sei film, tra cui “Il padrino” di Coppola, durante la festa matrimoniale..Addirittura la usa Hoffman nel suo remake shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate” per piccolo ensemble e clarinetto –neanche a dirlo, durante la festa per lo sposalizio delle due coppiette felici-

E chi potrebbe scordare il film “L’onore dei Prizzi”di Houston, quando la giovane narra al padre di essere stata violentata (tutto falso, lo fa per ottenere la pietà che le serve) sulle note di “Oh mio babbino caro” (dal “Rigoletto”) che vengono da una radiolina, sullo sfondo della vecchia cucina?
O la marcia dell’Aida, suonata da una banda “scarrupata” quando don Prizzi fa la sua apparizione in pubblico..?
Decisamente esilarante la scena in cui quando don Prizzi è sprofondato nella sua poltrona a fumare il sigaro, mentre la radio suona “Questa o quella per me pari sono” –aria sempre del Rigoletto- e proprio in quel momento entrano i picciotti con aria stanca: “E’ morto qualcuno?” domanda il vecchio…

Argento fa addirittura un intero film sull’opera del “Machbeth”di Verdi, che si dice sia un’opera maledetta..E affianca sapientemente scene a teatro dove la musica è nella sua veste originale, e scene di tensione, decisamente sanguinolente, dove si sente un singolare“Va pensiero” (aria dal “Nabucco” però) in versione synth anni ‘80.

Il grande Hitchcock usa la magniloquente orchestrazione della “Clouds storm cantata” di Benjamin per la scena madre del film “L’uomo che sapeva troppo”: il Killer deve sparare proprio in concomitanza del colpo di piatti eseguito dal percussionista durante il concerto; l’attentato viene sventato dall’urlo ammonitrice della signora McKenna, cui hanno rapito il figlioletto, e che si trova insieme al marito in questo intrigo internazionale…La musica segue alla perfezione l’angoscia, la tensione, gli sguardi, i movimenti dei personaggi coinvolti durante la scena.

Perfino Sodenbergh nel suo “Ocean’s eleven”, che ha una colonna sonora jazz-blues rock e revivall anni 70, inserisce la musica classica e utilizza la sognante musica di Debussy: il “Chiaro di Luna”, tratto dalla Suite Beramasque, accompagna la scena finale del film quando i personaggi si ritrovano, dopo aver compiuto la rocambolesca rapina, davanti agli spettacolari giochi d’acqua di una fontana.

Gli esempi sono molti di più di quelli che ho potuto citare, per motivi di spazio…Sostanzialmente, la musica di repertorio è usata come citazione, per accrescere di significato una scena che, attraverso musica già sentita, si carica di altri significati.
Ciò che si conosce si ama: sentire un brano familiare ci riporta ad altre nostre sensazioni, ai nostri ricordi, che si innestano sulle nuove suggestioni che la scena del film che stiamo vedendo ci dà. Questa è una chiara scelta del regista perché, evidentemente, per produzioni e registi di questo calibro, non si tratta certo di risparmiare sulla musica, trovandosi i pezzi già fatti!
E allora viene da chiedersi: e la musica composta “da capo”?

La musica ha il potere di creare o distruggere un film.
Ed è inutile che cercate di ricordare chi ha detto questa frase perché è un mio pensiero.
Come compositrice di colonne sonore, vi posso assicurare che un brutto film può essere salvato da una buona musica, ma una brutta musica può rovinare anche il migliore dei film, o comunque dare un fastidio terribile, anche a non addetti ai lavori.
Comporre una colonna sonora originale è sempre rischioso, perché deve cogliere appieno lo spirito del film. Ma se è composta bene, praticamente non si sente, si fonde con le immagini…Se uscendo dal cinema non ricordate che musica vi fosse sotto, non prendetevela col vostro orecchio poco allenato: vuol dire che la colonna sonora era perfetta!
La ricordiamo per due motivi: solo se è particolarmente meravigliosa o originale, (allora ci compriamo il disco del film) oppure perché il tema o i temi erano usati con ricorrenza.
E qui entriamo nel vivo della questione: come si compone una colonna sonora?
La musica per film è per il film, quindi deve venire a compromessi con le immagini, oltre che con i registi che non sempre hanno le idee chiare…
Non deve rinunciare alla sua bellezza, dignità, deve insomma “stare in piedi da sola” , deve essere perfettamente eseguibile in un concerto, ma deve sempre venire a patti con ciò per cui è stata creata: il film.
Un equilibrio delicatissimo.
Oggi i compositori che sanno fare questo sono pochissimi: quelli cioè che hanno un vero mestiere in mano (come minimo hanno studiato al Conservatorio 10 anni) e sono capaci di mettere le loro competenze al servizio delle immagini senza rinunciare alla loro cultura favolosa.
La vera colonna sonora che “spacca” nasce da qui: superba cultura che… serve.

Alcune colonne sonore sono basate sui clichè, ovvero ci sono dei suoni, dei timbri, dei ritmi, dei movimenti (intervalli di quinta, di semitono, di quarta eccedente, il suono fisso..)che muovono la nostra anima rimandandoci a qualcosa di primitivo.. (Gli esempi mi porterebbero via tutto lo spazio sul giornale…)
E’ su queste basi che la musica per il cinema ha mosso i primi passi. E cammina ancora adesso.
E’ come se la musica per cinema avesse intuito quali sono i nostri tasti profondi e li suoni con estrema maestria per farci ricordare questo o quello..
..Se pensiamo che la musica dello Squalo è tutta un oscillare di semitono, uno degli intervalli più inquietanti ..Guarda caso lo stesso di Ligeti in “Eyes wide shut”…
E’ su queste cellule timbriche, intervallari e ritmiche che si basano i temi cosiddetti, le melodie portanti del film.
A questo punto il compositore può scegliere che strada percorrere: la semplice sonorizzazione senza tema, ma spesso estremamente efficace per dare una forte suggestione anche senza creare una linea melodica vera e propria (soprattutto per i film d’azione, gialli, thriller…) oppure creare un tema portante che viene ri-arrangiato e sonorizzato via via in diversi modi, lungo tutto lo svolgersi del film, (i film drammatici spesso adottano questa soluzione) oppure ancora creare più temi e associarli ai diversi personaggi (film storici, epici, fantasy..) A questo proposito, non si può non citare la grande musica di H. Shore per “Il signore degli anelli” dove si può distinguere il tema di Frodo-una sorta di ballata irlandese- il tema degli elfi, canto antico-una sorta di solmisazione- quello delle forze del male –cori epici spaventosi , ottoni e percussioni- lo struggente tema dell’anello…

Naturalmente questa è una visione in soldoni, vi sono altre strade percorribili oppure la coesistenza di tutte queste soluzioni contemporaneamente nello stesso film.
In sostanza, la musica può innalzarsi al di sopra delle parti ( ad esempio lo struggente “Adagio” di Barber nel film di “Platoon” che accompagna scene di guerriglia di inaudita ferocia oppure la diabetica canzoncina “Ci incontreremo in un bel giono di sole” sulla scena dell’esplosione della bomba atomica nel film “Il dottor stranamore”) oppure può descrivere al millesimo ogni sincrono del girato (effetto “Mickey-mousing”, quello dei cartoni animati di Tom e Jerry), oppure ancora andare al di là della scena e caricarla di significati (fa “vedere” anche quello che nel film non si vede); l’uso di un tema ricorrente può fare da collante tra la scene, conferendo continuità al film. Ancora, la musica per film può connotare di simboli una scena parlando nella sua lingua, cioè utilizzando i mezzi propri della musica (ad esempio il dialogo tra due personaggi può essere musicato con un brano per violino e pianoforte, appunto due personaggi, due strumenti).
A volte, poi, capita che la musica sia così originale che crea l’ambientazione di un film. E’ il caso degli “spaghetti-western” a cui Morricone ha dato un vero e proprio sound che prima non esisteva.
E qui si ritrova il metodo di creare un tema per ogni personaggio ma anche e soprattutto l’uso di un timbro, un suono particolare, che si associa ad un personaggio: la musica diventa il personaggio, quando non addirittura l’ambientazione.
Questa è la scelta di Tarantino, che mi ha dato il pretesto di sfogarmi su tutto il resto…
L’omaggio a Morricone e l’uso della sua musica nel particolare, permette sia di rimandare l’ascoltatore a fatti e situazioni già interiorizzati, sia la creazione di un ambiente ben definito che nulla, più della musica, sarà mai i grado di connotare così profondamente.

Mariangela Ungaro –compositrice.


musica per film

La ricotta

La Ricotta e’ un film di Pasolini ed egli stesso esordisce con un messaggio scritto dichiarando prima dei titoli di testa che è perfettamente consapevole del polverone di polemiche e critiche che il suo film avrebbe sollevato ma d’altro canto conferma il suo reale rispetto per la Passione di Cristo e per i testi che ne parlano.
Il contesto è quello del film nel film, ovvero siamo sul set .
Si sta girando un film incentrato sulla passione di Cristo.
Il protagonista è il povero Giovanni Stracci che impersona il ladrone buono, una parte che non solo ha sul set ma che calza perfettamente il suo modo di essere nel macrofilm Pasoliniano.
Dal punto di vista prettamente musicale la colonna sonora del film è tutta caratterizzata dal succedersi di temi ricorrenti, come una sorta di diacronia leitmotivica: sotto i titoli di testa, mentre viene inquadrato a colori il banchetto colmo di cibo su cui sovrasta il megafono del regista, sentiamo un ballabile, un twist, che ricorrerà con tutta la sua carica ironica ogni qualvolta che gli attori devono cominciare a girare le scene drammatiche oppure accompagna i loro balli nei momenti di pausa.
In ordine di udibilità possiamo poi ascoltare l’oratorio di Scarlatti: un brano (quello giusto)che viene utilizzato quando si gira il film…anche se più che questo, gli attori immobili e le loro bocche che si muovono senza emettere alcun suono, ci ricordano più un quadro di Michelangelo.
Il terzo inciso musicale che però a mio avviso ha più importanza degli altri è quello che io ho chiamato il “Tema del cibo”; ha solo una connotazione musicale: è mesto, nostalgico, suonato dall’organetto e possiamo sentirlo ogni qualvolta c’è del cibo o nella sua connotazione simbolica quando viene inquadrata la croce: il corpo di Cristo che diventa l’agnello immolato per la salvezza dell’umanità.
Arriviamo al tema Verdiano: si tratta dell’aria della Traviata “Sempre libera”; quest’ultimo è trattato musicalmente in due modi: o suonato dalla banda con tipico incedere oppure suonato da un pianoforte d’altri tempi, con il ritmo velocizzato ai limiti della riconoscibilità.
La prima volta in cui lo sentiamo è nella versione bandistica quando fa capolino da un campo uno dei personaggi che sono sul set: si tratta di una figura allegorica che simboleggia un angelo; il tema di commento suonato dalla banda, descrive e accompagna l’incedere presuntuoso e ridicolo del personaggio, come in una sorta di parata.
Quest’ultimo viene visto dai familiari del protagonista, il ladrone buono che sono in mezzo al campo e stanno consumando il pranzo al sacco che il poveraccio ha preso alla mensa del set.
Qui ascoltiamo invece il tema che io ho definito del cibo: l’armonica descrive i poveri volti che consumano quel poco che possono.
Il ladrone buono torna sul set: qui gli attori sono in pausa-pranzo.
Ad ognuno di loro viene dato il sacchetto : consapevole di aver già ricevuto la sua porzione ma rimasto a pancia vuota, decide di prendere un altro sacchetto; prende dei vestiti che svolazzano appesi a un filo e si traveste da donna con tanto di parrucca bionda indi si appropinqua a ricevere un altro pranzo.
Il tema che accompagna il gesto di Wells è sempre il brano Verdiano, anche qui suonato dalla banda ma il ritmo è più lento, funzionale a descrivere il modo di camminare impacciato e pesante della finta donnona .
L’uomo mette il sacchetto al sicuro e se ne va.
Tornato sul posto per il momento tanto atteso del pranzo, ha un’amara sorpresa: il cagnolino di una delle attrici ha fatto man bassa delle sue provviste.
Sul faccione arrabbiato e desolato di Wells riprende il tema mesto suonato dalla fisarmonica.
Successivamente troviamo sul set un giornalista : è singolare vedere come, nonostante tutto lo spazio che abbia, preferisca passare sotto gli abiti appesi al filo che fungono come da tende di teatro da cui lui esce.E’ lì per intervistare il regista che dichiara:
” In questo film voglio esprimere il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo”.E detto questo intrattiene il povero giornalista leggendo ad alta voce un libro che ha sottomano; le sue parole risuonano senza senso, mentre non molto lontano gli attori del cast si divertono ballando il twist…E’ come se l ‘uomo volesse ostentare la sua diversità, il suo essere superiori a tutti.
L’ironia o meglio dire la satira ai registi cinematografici gonfiati e pieni di sè è palese.
Il giornalista, dopo essere stato anche insultato dal regista e definito un uomo medio, (tutta la presunzione del regista si sgonfia quando egli stesso fa notare al giornalista che l’editore del giornale per cui lavora è anche il produttore del suo film, anche se il regista vorrebbe dare una certa connotazione di minaccia alle sue parole) se ne va: incontra il ladrone buono che è seduto e accarezza il cagnolino.
I due scambiano un breve dialogo.
Al giornalista piace il cagnolino e Giovanni, fingendo di esserne il padrone, glielo vende per pochi soldi, quelli che gli servono per andare da un venditore di ricotta poco distante dal set e comprarsi da mangiare.
Non fa in tempo a gettare il cagnolino nelle braccia del giornalista che lo vediare schizzare come una freccia (l’immagine è velocizzata) verso il ricottaro… Il tema di Verdi, utilizzato per la terza volta è a velocità raddoppiata e suonato dal piano…Il sound è quello delle comiche.
E’ interessante notare come la musica, lanciata a velocità convulsa, abbia la forza di fermarsi, seppure per due brevissimi istanti, quando, all’andata e al ritorno, il ladrone buono si ferma davanti ad un piccolo altare e si fa un segno di croce.
La musica accompagna la corsa dell’uomo fino al luogo del nascondiglio…Sta per mangiare…
Un voce fuoricampo irrompe: “Il ladrone buono, il ladrone buono!!”
L’uomo è richiamato sul set. Viene inchidato alla croce e gli altri attori, consapevoli che l’uomo è digiuno, lo prendono in giro mettendogli vicino alla bocca del pane e da bere, ben sapendo che il poveretto non può muoversi…L’assonanza con il dramma di Cristo è toccante.
Poco dopo una delle attrici viene convinta a fare lo spogliarello dai colleghi: viene chiesto ad uno dei ragazzi di accompagnarla con l’armonica a bocca;
“Suona della musica araba”
Il risultato, un motivetto sciapo, a tutto può somigliare tranne che alla musica araba, non ha nemmeno lontanamente un sapore orientale: che il regista voglia denunciare l’ignoranza musicale delle persone? Questo è l’unico momento musicale che rimane isolato e legato solo a quella scena.
Il film nel film procede la sua lavorazione: un’altra palese critica è diretta alle attrici primedonne, che riescono a condizionare la produzione . Dopo che le tre croci sono pronte per la scena e vengono portate su per la collina accompagnate dalla musica di Scarlatti, un’attrice, che poi è la padrona del cane, si lamenta che voleva prima girare un’altra sequenza e viene accontentata dal regista, vanificando tutta la precedente preparazione.
Divertente notare come i comandi del regista vengano ripetuti da un esilarante passaparola da tutti gli attori, perfino da un cane che viene inquadrato mentre apre la bocca e qualcuno fuori campo grida per esso!
Il ladrone buono e l’altro attore che impersona Cristo rimangono deposti a terra e,in attesa di girare, scambiano qualche battuta di dialogo.Anche qui si scorge chiaramente il nesso con la Passione di Cristo, se non fosse che i due si mettono a parlare di politica; l’attore critica la posizione di Giovanni che per tutta risposta gli dice :”Sono nato colla vocazione di morire di fame”.
Intanto si gira : ed eccoli lì tutti insieme in un immobile affresco a colori. Anche qui si sente Scarlatti, dopo il twist messo per errore.
“Schiodateli!” Urla il regista.
A quel punto tra il tema Verdiano lanciato all’impazzata e la corsa di Wells dalle immagini velocizzate, si viene colti da un’incontenibile entusiasmo: il momento del pranzo non subirà ulteriori ritardi.
Il ladrone buono si ingozza di cibo fino all’inverosimile:il tema Verdiano sfuma in quello dell’armonica.
Gli altri attori, incuriositi dalla sua folle corsa si riversano nel nascondiglio e qui trovano Giovanni che sta divorando cibo.
I movimenti del ladrone buono sono sempre velocizzati, mentre quelli degli attori sono normali: la contrapposizione non è solo tra i personaggi nella scena che si muovono a ritmi volutamente diversi, ma musicalmente parlando, il tema del cibo, così lento e minore, sembra farci presagire quella che sarà la tragica fine dell’uomo.
Arriviamo alla scena clou del film: è girata su due piani paralleli, da un lato la stampa, il regista, l’attrice primadonna con cagnetto e tanti altri tra giornalisti, critici e fotografi…Dall’altra le tre croci, poste dietro un sontuoso banchetto, che si stagliano verso il cielo. Giovanni, inchiodato alla croce, dovrebbe girare l’ultima scena di fronte alla gente. Sotto le grida “I lampi, i tuoni!” irrompe il tema Verdiano, suonato dalla banda, a sottolineare l’occasione pomposa .
Per evitare imprevisti, al ladrone buono viene fatta ripassare la parte. Proprio sulle sue parole ” Quando sarai nel regno dei cieli, ricordami al padre tuo” la musica si interrompe: il momento è realmente drammatico, privo di qualsiasi ironia; l’ultima battuta della finzione è anche l’ultima della realtà..Il ladrone buono infatti muore realmente lì sulla croce.
Nessuno se ne accorge finchè viene girata la scena di fronte alla critica: il regista grida
“Azione!”
Non avendo alcun esito grida ancora “Motore, motore!” Ma Giovanni non si muove.
A quel punto capisce che qualcosa non va .
Viene informato della morte reale dell’uomo:
“Crepare! Non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo”.
Il film di Pasolini si chiude sull’immagine a colori del banchetto su cui sono posti vari cibi: il primo piano si ferma al centro dove c’è la ricotta, e il megafono del regista.
Il tema verdiano, velocizzato a mò di comica e suonato dal piano, accompagna il primo piano di o meglio della colpevole di quella tragica fine: la ricotta.
I titoli di testa si snodato sul twist.

MALEDETTI VI AMERO’

Maledetti vi amerò è un film di Marco Tullio Giordana che narra la vicende di un uomo deluso non solo dall’ideologia comunista ormai tradita nel suo paese, l’Italia della fine degli anni settanta, ma anche dalla sua stessa esistenza.
Ritornato nella sua città Milano dopo cinque anni di permanenza in Venezuela,( questo particolare spiega l’inserimento musicale di alcuni brani di Piazzolla, che rieccheggiano un certo sapore spagnoleggiante) il giovane Riccardo si ritrova in una realtà nuova deludente a cui, nonostante si sforzi, non riesce a dare il benchè minimo significato.
Il film si apre in una stazione di polizia, in cui Riccardo conosce uno dei personaggi chiave della vicenda: un ispettore di polizia , comunista convinto che però ormai non crede più a niente: una sorta di alter ego dello stesso Riccardo, o meglio quello che Riccardo potrebbe diventare… Dialogando con lui, a Riccardo vengono letteralmente gettati in faccia gli eventi a cui egli non ha assistito: l’uccisione di Moro, di Pasolini, la strage di piazza Fontana .
Riccardo ritorna nei luoghi che conosceva: alcuni scorci della sua città, una vecchia fabbrica; ad accompagnarlo il quartetto d’archi in re- di Schubert, una sorta anche qui di Leitmotiv che si potrebbe chiamare Tema del Ricordo, visto che ritorna spesso nel film quando il protagonista va metaforicamente alla ricerca di se stesso.
Un’altro tema chiave ricorrente è un Mottetto di Bach legato ad altre due figure fondamentali nel film : la bambina, figlia di un’amica di Riccardo e di cui egli potrebbe essere il padre, e un vecchio amico, ora vittima della droga.
Quest’ultimo, prima di bucarsi, dice a Riccardo che ognuno di noi ha il suo “Buco”, il suo dolore, il suo destino maledetto.
Il legame simbolico con la bambina viene colto in una delle scene chiave del film in cui il drogato, la bimba stessa, il commissario e Riccardo si ritrovano nel sogno di quest’ultimo: la bambina è seduta in riva ad un laghetto e tira sassi nell’acqua stagnante generando buchi, mentre Riccardo incontra il commissario e lo spara con la pistola che appartiene al drogato.
Il mottetto Bachiano accompagna la sequenza drammatica esaltandone la combinazione, e viene colto da chi ascolta in un modo che va aldilà della semplice percezione sensibile.
Arriviamo ad un altro brano musicale che ricorre durante il film: si tratta del preludio della Maledizione del Rigoletto Verdiano.
Lo sentiamo inizialmente quando Riccardo è in bicicletta alla ricerca di un lavoro: la musica non descrive certo l’azione, ma ci fa recepire la drammaticità dei pensieri interiori del protagonista e fa presagire il tragico destino che sarà egli stesso a volere.
Infatti la Maledizione di Rigoletto emerge con tutta la sua forza alla fine del film quando il protagonista dice al commissario che gli farà arrestare un pericoloso terrorista a Roma all’alba.
In realtà si tratta di lui stesso ; deluso dalla sua vita spesa per ideali che sono stati traditi ma che lui non vuole tradire e per cui preferisce farsi uccidere piuttosto che scendere ai compromessi che tutti gli altri hanno accettato, Riccardo si presenta all’appuntamento: impugna la pistola del suo amico drogato e la punta verso il commissario che, d’istinto, spara.
Riccardo muore . Primo del suo tragico gesto aveva scritto su un muro vicino : “Maledetti, vi amerò”.

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

Alleggeriamo un po’ il tono con questa deliziosa commedia di Hoffman, tratta dall’opera Shakesperiana del 1595.
Tra tutti i personaggi non ve n’è uno che che non appaia, secondo una coloratissoma espressione inglese, “moonstruck” , cioè affetto da un colpo di luna.
Tutti sembrano aver respirato nell’aria della notte o nel chiarore misterioso della luna una spensierata follia, una vaga ebbrezza, che costituisce il sottofondo stessa dell’opera e le conferisce unità, fondendone insieme le apparenti incongruenze e slegatezze così come la luna, apparendo sul paesaggio, ne annega i contorni e ne ammorbidisce i contrasti in un placido lago di flebile luce azzurrina.
Il film è ambientato a Monte Atena, in Italia alla fine del 19° secolo.
La scelta delle musiche che si alternano tra Rossini, Donizzetti e Verdi, sembra essere un omaggio all’Italia, così come la melodia di taglio napoletano che accompagna i titoli di coda.
Tra le musiche spicca evidentemente “Sogno di una notte di mezza estate” di Mendelsoohn che è il leitmotiv conduttore del film, insieme ad un altro brano : “Libiamo” della Traviata di Verdi.
Lo ascoltiamo inizialmente sulla scena di vita nel borgo in un lungo piano sequenza: le case sullo sfondo collinare, la Chiesa, scendiamo ed ecco sul muro il bando di concorso relativo alla competizione di recitazione in occasione delle nozze del Duca Teseo, il venditori, dei giocatori di carte, un asino di passaggio.
Il piano sequenza si interrompe sul personaggio del tessitore Bottom, un uomo eccentrico, dal discreto talento recitativo, e don Giovanni risaputo.
Riascoltiamo lo stesso brano dalla voce degli attori che, cantando, si inoltrano nel bosco per provare la loro recita.
Ritroviamo l’estratto della Traviata molto dopo quando, ormai sistemati tutti gli equivoci e gli intrighi avvenuti durante la notte, Bottom e i suoi compagni si preparano ad andare in scena: ultimi ripassi alla parte, l’ultima pannellata alla maschera del leone…
La musica continua accompagnando l’allegra combriccola nella grande villa del Duca, dove avrà luogo lo spettacolo.
Il tema Verdiano sfuma nella musica di Mendelssohn quando Bottom si imbatte nella statua della fata dei boschi che egli aveva incontrato ed amato la notte precedente: l’uomo guarda la statua rapito e si chiede se ciò che ha vissuto nella notte sia stato vero o solo un sogno.
Riascoltiamo Verdi subito dopo, durante i festeggiamenti per le nozze di Teseo e Ippolita, Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio: l’esecuzione del tema è affidata ad una orchestrina composta da clarinetto, che fiorisce il tema principale con un breve inciso tematico da esso derivato, e da fisarmonica, chitarra e contrabbasso.
Gli attori finiscono il loro spettacolo ed aspettano trepidanti la critica del signore: “Un’ esecuzione egregia” è la risposta data dal capo della compagnia che è il primo a gioire e sorridere : il tema verdiano viene introdotto dalle timide note del clarinetto solista e poi, quando tutti gli attori palesano la loro felicità, possiamo ascoltare il tema con tutti gli strumenti.
E’ notte: per i novelli sposi è giunta (metaforicamente!) “l’ora delle fate”.
Ed ecco la musica di Mendelssohn fare capolino tra le lenzuola degli amanti.

LA NOTTE DI S. LORENZO

Film del 1982 di Paolo e Vittorio Taviani.
Siamo in Toscana sul finire della seconda guerra mondiale: “Con gli Americani alle porte e i Tedeschi ancora in casa”, testuali parole del prete che sposa Bruno con la sua giovane amata incinta.
E continua: “Se è vero che il giorno del dies irae è vicino è anche vero che tutti noi abbiamo il dovere di sopravvivere”.
La popolazione del piccolo paese toscano si è divisa in due: una parte della popolazione ha deciso di scappare, gli altri hanno chiesto ed ottenuto la protezione del vescovo.
Siamo in Chiesa; sulle parole del vescovo “Tutti abbiamo cercato la salvezza nella casa di Dio” si apre il leitmotiv conduttore del film: il Requiem di Verdi.
Mentre la musica accompagna lo spezzare del pane e la comunione, fuori i soldati si preparano a far esplodere la Chiesa .
La musica si interrompe sulle parole del vescovo, bisbigliate mentre fa la comunione:” Non mi abbandonare ora”.
L’esplosione, le grida laceranti, i sopravvissuti che escono mutilati…
Il prete è portato fuori da alcuni uomini ma egli torna verso la chiesa: è su questo gesto che la musica riprende.
Esce la donna, madre della giovane sposa che aveva voluto fidarsi del vescovo e trovare rifugio nella chiesa.
L’uomo l’aiuta con la giovane, i loro sgurdi attoniti si incontrano, le loro fronti si toccano, come a condividere lo stesso tragico destino, ma poi la donna esclama “Da sola! Fo’ da sola”
Qui attacca la parte per soprano.
La scena si conclude con il prete seduto sulle scale della fontana nella piazzetta.
Dissolvenza a nero.
Intanto i fuggiaschi sono accampati nel bosco: decidono di cambiare i loro nomi.
La musica del miserere ritorna con tutta la sua drammaticità quando comincia a parlare uno degli uomini: “Non so nemmeno se è un nome: Requiem…Sì, chiamatemi requiem” e ricorda quando cantava in chiesa.
La musica accompagna i volti di tutti e i loro nuovi nomi da loro scelti, ” leone, orango, gufo, pelo…”( singolare notare la somiglianza fisica tra i volti dei personaggi e i nomi degli animali da loro acquisiti).
Arriva il turno del giovane sposo; la musica svolge qui la funzione di ricordo: Bruno infatti decide di chiamarsi Giovanni come il figlio che non avrà più. Egli ricorda quando ha visto morire la giovane moglie fuori dalla cattedrale, mentre la portava via insieme alla madre di lei su una carriola.
Il requiem di Verdi irrompe con tutta la forza drammatica della parte del “dies irae” poco dopo:
il vecchio (che recitava l’Iliade a memoria e si era dato il nome di Achille) per difendere la bambina da un fascista, scaglia un forcone invano verso l’uomo; quest’ultimo lo uccide sparandogli.
A quel punto la bambina immagina che il vecchio sia vendicato da un esercito di guerrieri greci armati di lance che finiscano nel costato del fascista uccidendolo.
Il miserere del Requiem ritorna molto presto accompagnando le scene successive: Bruno è a terra accanto ad un amico che gli aveva precedentemente salvato la vita e scaccia le mosche dal cadavere sangiunante del poveretto.
I fuggiaschi si radunano.
Arriva la sera e trovano riparo in un villaggio :”Eravamo così stanchi che ci si era scordati anche della paura” racconta la voce di una donna fuori campo, che altri non è che la bambina della storia.

AMICI MIEI

Film di Mario Monicelli con Ugo Tognazzi, Gastone Moschin e Philippe Noiret.
Un gruppo di amici, scanzonati e rifuggenti le responsabilità di una vita che non li soddisfa, si danno alle cosiddette “zingarate”, delle disavventure che organizzano spesso dal nulla e che li vede nelle situazioni più disparate.
Il tema musicale conduttore del film è l’aria “bella figlia dell’amore” tratta da Rigoletto di Verdi, eseguito dagli amici nei modi più diversi, così come le situazioni paradossali in cui si vanno a cacciare. Si può dire che ad ogni zingarata corrisponde un “Bella figlia dell’amore” diverso: ecco perchè si può parlare di leitmotiv.
Ed ecco gli amici in macchina in partenza per una delle loro zingarate: cantano “Bella figlia dell’amore” a cappella, e con le voci realizzano in maniera esilarante tanto la melodia principale tanto l’accompagnamento.
Lo stesso tema torna più tardi quando gli amici si ritrovano a cena a casa di Melandri, uno di loro: l’uomo ha fatto la sciocchezza di sposare una donna divorziata, il cui ex marito, rinomato chirurgo, affligge continuamente .
Mentre Melandri è in cucina gli amici e il chirurgo cantano Verdi.
La terza zingarata è introdotta dal terzo ascolto verdiano, questa volta però in stile bossa nova caraibica: lo stacco verdiano questa volta è solo di commento esterno, esclusivamente musicale e accompagna l’arrivo della macchina nel cortile dell’ospedale: il chirurgo è diventato uno di loro. La musica riparte così come la macchina, per una nuova zingarata.
La quarta entrata del tema verdiano è in concomitanza dell’ennesima disavventura: è sera e i cinque si introducono in una lussuosa villa dove si sta svolgendo una festa di gala.
Lo stile del tema, la cui melodia è affidata alla tromba, ha un sapore vagamente jazzistico.
Ritroviamo Verdi nella sequenza successiva: gli amici hanno deciso di prendere in giro un pensionato ingordo di nome Righi, che entra nel bar da loro frequentato e si strafoga di cornetti senza pagare: i cinque decidono di dargli una lezione e lo introducono nel loro gruppo facendo credere al malcapitato di essere una banda di pericolosi malviventi e spacciatori di droga.
Philippe Noiret canta per pochi istanti, piuttosto sommessamente il tema verdiano dopo aver diviso i soldi tra i suoi compari ignorando l’ultimo arrivato; i soldi sono falsi così come tutta la situazione.
Dopo aver fatto intimorire il Righi fino a farlo salire a forza su un treno diretto a Reggio Calabria, gli amici si ritrovano alla fine della loro ultima zingarata.
Ognuno ritorna alla sua realtà, drammatica e squallida.
Il tema di “Bella figlia dell’amore” si risente anche qui, in versione solo strumentale, ritmo un po’ rallentato, con la melodia principale affidata all’oboe, che ne accentua la tristezza.
Siamo alla fine del film: Noiret è morto.
Gli amici seguono il feretro: si risentono le voci che cantano il tema Verdiano a cappella, ma la musica è solo un commento esterno.
Naturalmente il finale non smentisce il carattere esilarante del film: i quattro incontrano il Righi e gli fanno credere di aver ucciso loro l’amico perchè era un traditore…

JEAN DE FLORETTE
MANON DE SORS

Sono due film di Claude Berri , esattamente la prima e la seconda parte di una vicenda, tratta dall’opera letteraria di Marcel Pagnol.
Anche qui c’è la musica di Verdi e il leitmotiv scelto è l’overture de”La forza del destino”; e questo è anche l’unico tema musicale presente nei due film visto che ad accompagnare delle altre scene non ci sono dei chiari incisi tematici ma solo degli espedienti timbrici che danno un’idea descrittiva quasi onomatopeica dell’azione. Pertanto il tema di Verdi spicca decisamente.
Siamo nelle campagne della Provenza, è il 1920; il tenore di vita è modesto e i pochi mezzi disponibili sono fondamentali all’esistenza dei contadini: una semplice sorgente diventa il catalizzatore non solo della sopravvivenza fisica ma anche dei valori morali dei personaggi.
Già mentre scorrono sullo schermo i titoli di testa possiamo ascoltare Verdi: arriva una corriera , Ugolin scende e va nella sua casetta dopo essere passato a salutare l’amico Papè.
La musica ci fa chiaramente intendere che ai due personaggi è legato il tragico destino della vicenda.
Ugolin entra nella sua sporca catapecchia e apre la sua valigia : quest’ultimo gesto è accompagnato da un arpeggio suonato al cembalo..Suona piuttosto sinistro, come a farci intuire che le piantine che Ugolin ha preso delicatamente in mano dalla valigia possano essere un potenziale problema.
Ugolin comincia il suo lavoro e la successiva immagine panoramica dei suoi garofani ( ecco cos’erano quelle piantine) viene ben descritta dall’apertura orchestrale.
Ritorna il tema di Verdi quando Papè e Ugolin vanno nell’orto degli ulivi, nella terra vicina alle loro: il tema implcitamente ci suggerisce che anche quel luogo e quella situazione saranno fondamentali ai fini della vicenda.
Infatti Papè si scontra con un contadino che sta lavorando nell’orto e addirittura, finisce per ammazzarlo.
Quella terra è assai preziosa: vi si trova una sorgente.
“E’ qui la fonte!” Dice Papè ad Ugolin: il tremolo dei violini, le rapide brevi scalette dei flauti e gli arpeggi delle arpe che intervengono a descrivere quasi in modo onomatopeico l’ immagine, ricordano l’inizio del poema sinfonico di Smetana “La Moldava”.. I due contadini decidono di nascondere la fonte e di murarla in modo da incanalare l’acqua nella terra di Ugolin, lasciando a secco quella dell’oliveto.
Ad ereditare la terra del contadino ucciso da Papè è Jean de Florette che arriva lì con la moglie e la figlioletta Manon.
Jean prende possesso dalle casa e si affaccia alla finestra insieme a sua moglie: suona con l’armonica il tema verdiano, una melodia che lo simboleggerà per tutto il corso della vicenda, mentre la donna canta la stessa melodia.
Nelle sequenze successive emerge subito la nobiltà d’animo di Jean e la sua superiorità intellettuale rispetto a chi vive in quei luoghi; invita a pranzo Ugolin, suo vicino: mentre Jean col calice in mano inneggia alla natura alle rocce millenarie, allo smeraldo dei prati e all’azzurro del cielo, Ugolin alza il calice e, visibilmente imbarazzato, sa solo dire “Salute!”
Per svegliare il vicino Ugolin il mattino seguente e potersi rifornire d’acqua, Jean suona la sua armonica a bocca: ecco nuovamente il tema verdiano, gentile e timido.
Jean ha grandi progetti per la sua nuova terra e ne parla con Ugolin: il tono della sua voce risuona sempre più forte e viene accompagnato o meglio enfatizzato dall’entrata degli archi che svolgono un inciso abbastanza breve ma efficace.
Jean comincia a coltivare la sua terra ma per avere l’acqua è costretto a recarsi a km di distanza .
Inizialmente le cose vanno bene: infatti lo sentiamo fischiare sotto la pioggia, il tema è sempre quello verdiano.
Ma poi la mancanza d’acqua porterà Jean alla rovina: mentre Ugolin si fa prendere dagli scrupoli di coscienza, Jean arriva a scavare un pozzo con la speranza di trovare dell’acqua; arrivato a trovare il terreno roccioso decide di farlo saltare in aria con la dinamite: lo sventurato troverà la morte. La moglie di Jean vende la terra e se ne va.
L’ultima scena del film vede Ugolin e Papè che si bagnano nella fonte; la bambina di Jean, Manon, li vede….
Nella seconda parte della vicenda, nel film Jean de >Florette parte II , intitolato Manon delle sorgenti, assistiamo alla vendetta della giovane Manon.
Dopo dieci anni dalla morte di suo padre Manon non ha dimenticato ciò che ha visto ed è decisa a farla pagare a Ugolin e Papè.
Anche qui i titoli di testa sono accompagnati dal tema della Forza del destino.
Ugolin ha fatto fortuna con i garofani mentre Manon fa la guardiana di capre.
Vi è un’altro personaggio in questa seconda parte: un giovane geologo che si trova lì per studiare il territorio.
Il tema verdiano si risente quando Manon suona l’armonica di suo padre sotto la pioggia: il ricordo dell’uomo emerge con tutta la sua drammaticità in un connubio di simboli, la pioggia, l’acqua, la melodia …
Monon fa amicizia con il giovane mentre Ugolin si invaghisce di lei in maniera morbosa: addirittura si cuce al petto uno dei nastri che la ragazza aveva perso tra l’erba.
Manon era già a conoscenza di ciò che aveva fatto Ugolin riguardo alla sorgente ma viene a scoprire che anche gli abitanti del villaggio sapevano tutto ma non avevano fatto nulla affinchè fosse evitata la morte di Jean: la notizia appresa da due villani a caccia tra le colline, ha un effetto devastante nell’animo di Manon .
Mentre il tema verdiano incalza Manon piange disperata nel suo letto.
La ragazza è accecata dalla rabbia: l’ora della vendetta è suonata.
Nel tentativo di riprendere una capretta, Manon scopre l’origine della fonte che dà acqua all’intero villaggio.
Blocca la sorgente e lascia a secco l’intero villaggio oltre che tutti i terreni circostanti.
All’inizio l’acqua dalle fontane esce rossa, intorbidita dal fango: io vi ho trovato un qualche simbolismo con l’acqua del Nilo arrossata di sangue dalla vendetta di Mosè o comunque un colore simbolico che ricorda la morte di Jean.
Gli abitanti del villaggio sono in crisi e chiamano addirittura uno specialista…Dopo aspre discussioni in cui emerge che non vi è un motivo scientifico per cui la fonte si sia improvvisamente bloccata, comincia ad insinuarsi nelle menti lo spettro di Jean de Florette della cui morte tutti si sentono responsabili.
Alla presenza di Manon e del giovane, emerge la verità.
Nella sequenza successiva troviamo Ugolin impiccato ad un olivo (qualche riferimento neotestamentario?) e Papè che ne leva dal cadavere il nastro di Manon che getterà nel fuoco: quest’ultimo fatto è accompagnato dal tema verdiano: la vendetta di Manon si è finalmente compiuta.
La ragazza trova il conforto tra le braccia del giovane geologo a cui confida ciò che ha fatto: i due liberano la fonte e l’acqua ritorna. In paese intanto si stà svolgendo una processione. La venuta dell’acqua assume il tono di un miracolo.
Manon si sposa con il geologo e dopo poche sequenze la vediamo già in dolce attesa.
Papè è logorato dalle sue colpe: tenta più volte invano di farsi perdonare .
Si confessa.
Il tema verdiano chiude il film: prima che comincino a scorrere i titoli di coda, vediamo Papè a letto morto, nella sua mano stringe una pettinessa di Manon e la corona di un rosario.

Mariangela Ungaro